venerdì 24 febbraio 2012

Bacche di vaniglia e cazzotti in bocca

non è Mattia

Mattia non è una persona affabile.
Lui cerca sempre il conflitto, con chiunque. Non è opportuno guardarlo negli occhi per più di 5 secondi.
Mattia ha avuto un’infanzia facile. Non ha avuto genitori violenti. Non è stato viziato, non è stato ignorato. Ha avuto i vestiti alla penultima moda, la fetta di carne 3 volte alla settimana. È stato portato al cinema e nei parchi, periodicamente. Ha avuto i Masters, i GiJoe.
Ha fatto arti marziali per potersi difendere nella società ed ha imparato a picchiare gli altri.
Ha fatto gli scout, per rispettare la natura, ed ha imparato ad appiccare il fuoco ed usare il coltello.
Mattia è orgoglioso.
Mattia odia i ciccioni metallari.
È molto istruito, a sovvertire l’equazione violenza = ignoranza. Mattia è laureato, nonostante abbia smembrato il naso del professore di economia politica, nel cesso degli uomini. Il professore l’aveva osservato a lungo, con la porta semisocchiusa del bagno, da lontano, mentre Mattia si specchiava. Mattia batteva la punta della scarpa a 4/4, portando il ritmo di un motivo che non c’era. Il professore gli guardò prima il piede, poi il jeans attillato, i glutei stone washed, la camicia rialzata sugli avambracci, il collo possente, i capelli sempre cortissimi, la fronte poco spaziosa. Mattia spostò lo sguardò. Tra l’attimo in cui il piede interruppe il beat e quello in cui si posò sul profilo del docente non passò granchè. 
Ha picchiato uno che usò nella stessa frase i termini “mainstreaming” e “La Feltrinelli”.
Ha massacrato di botte il tipo che diceva che il delfino è un mammifero.
“No, il delfino è un pesce”, dice Mattia, esaurendo in un frammento di secondo le parole necessarie.
“Fai l’errore che fanno tutti.", puntualizza l'altro conn fare da liciacolò. "Non è un pesce, ma un mammifero”.
Mattia non se lo fa ripetere. “Me ne fotto se porta i figli in grembo. Nuota, e l'animale che nuota è un pesce”. 
"Ti sbagli."
Si avvicina all’uomo, un albino sulla quarantina che fino a quel momento non aveva avuto problemi con nessun altro, fatta eccezione per un vicino troppo chiassoso negli amplessi, e gli dà uno schiaffo Richter in piena guancia destra. Gli occhiali dell’albino disegnano una perfetta parabola nell’aria, concludendo la propria traiettoria nella cuccia di un gatto, e lì rimangono per lunghi minuti. I minuti durante i quali l’albino prova a masticare a vuoto, per rimettere in sesto la mandibola, cercando di recuperare l’udito. La guancia assume un colorito violaceo, azzardata nuance per la spenta diafanità del volto. La filodiffusione passa un pezzo di Grignani, a rendere ancora più drammatico quel momento per tutti i presenti.
Mattia gli butta un’occhiata ed un asciugamano.
Mette una mano in tasca e riprende a masticare la sua passione, il baccello di vaniglia.
Mattia è un violento. Non è colpa della società, né della famiglia, né delle istituzioni. È colpa di Mattia.
La settimana prossima l’ho prenotato per andare a menare uno che mi ha offerto di partecipare a un marketing multilevel.

lunedì 20 febbraio 2012

Io non ci volevo andare in ufficio, oggi


Il lunedì mattina, di per sé, non è brutto. Fino a quando non finisce quel sogno delle 7,05, quello nel quale sono un agente segreto camuffato da venditore di materassi, che plagia le clienti grazie al fascino delle sue basette folte. Poi ci si alza, e la musica cambia. Per strada la gente mi guarda come se fosse colpa mia, che è lunedì mattina. I passi sono più pesanti. Anche gli aliti. Le borse degli occhi fanno effetto doppler fino al mento. Arrivo in ufficio senza salutare. Qualcuno bisbiglia qualcosa. Tatuaggi inguinali, igiene intima femminile, invidia e benpensantismo. Mi sono tutti simpatici come Zucconi di Radio Capital.
La migliore racconta del problema della colf. Un problema che non mi sono mai posto, ma che evidentemente, da come tutti annuiscono, attanaglia buona parte della popolazione. Questa colf, nota come La Signora delle Pulizie (La Compagnia della Pulizia), non va bene. In realtà non ha neanche iniziato a lavorare, ma la collega ha un presentimento. Fino a venerdì ci andava Mariela. Mariela pulisce bene, ma è richiestissima. È brava perché lava e disinfetta anche lo spazzolone. La mia collega ogni tanto lasciava una ciocca di capelli o un batuffolo di polvere, random, in giro per casa, nei posti più nascosti. La sera rientrava e verificava se la trappola aveva funzionato. Mariela non sbagliava mai. Ora Mariela non può più, e toccherebbe a Diama. Però Diama non convince. Non perché abbia feedback negativi, o sia senza braccia. Ma perché “Diama è nera” (cit.).
Quindi, i neri. Era un argomento che dovevo affrontare, come promesso a delicato&magneTICo da queste parti, giusto per accaparrarmi una cinquantina di commenti stizziti e politically correct.
Dicevo, i neri.
Quindi non solo hanno i denti più bianchi dei nostri, il ritmo nelle vene, i capelli mai lisci, non possono avere occhi azzurri, sono atletici e veloci (a causa della muscolatura più corta, che ad onor del vero non comprende proprio tutti i muscoli: una volta un amico di mio cugino ha visto nudo uno di colore, sotto la doccia della palestra, e da allora è in analisi e si lava a pezzi). Non solo hanno le labbra grosse, un diverso odore della pelle, i figli nello zainetto, cucinano speziato, i senegalesi sono gran lavoratori, le nigeriane mignotte, i congolesi che non mangiano il fritto, i somali che mangiano i congolesi, i sudanesi picchiano le mogli, i liberiani sfottono le suocere e le ivoriane bruciano il sugo. 
Ma. 
Ma pare che non spolverino a dovere. È sicuro, l’ha detto la collega. 
E io sono qui a difendere da questi pregiudizi. Mi sono stancato di questa superficialità. Gli esseri umani sono tutti uguali. Ognuno ha gli stessi diritti e doveri. Non c’entra il colore della pelle. E vale per tutti, indistintamente, gialli, neri, fucsia, glitterati. 
Per tutti, ho detto. Tranne uno. Solo uno. Concedetemi questo bonus. Questo qui, per me, non ha proprio diritto.


Ecco, il lunedì mattina vorrei essere la sig.ra Lucia.

domenica 12 febbraio 2012

2054


Sono troppo vecchio. Ho le ciabatte in fibra di titanio, la dentiera in kevlar con canini autonomi. Una vestaglia a scacchi disegnata da Oceano Elkann, tanto calda quanto sgargiante. Fumo la mia Chesterfield 7.0 della giornata e sorseggio un punch all’iride di cerbiatto. Nella CorneaPhTv non è ancora iniziato “Chi vuol essere vivo?”. Oggi tolgono l’ipotalamo a un nigeriano e sparano in bocca alla valletta dislessica. Puntata da non perdere.
Fuori il cielo viola si copre di nubi. Sono le nove e 109 del settimo giorno dell’Anno del Coniglio. Le adunate del mattino sono terminate senza problemi. Il tecnogatto mi guarda spaventato, nascosto dietro all’impianto di areazione della casa. Gli getto alcune crocchette di angostura modificata. Mi guarda, assaggia, e stramazza al suolo. È il terzo gatto che perdo, oggi. Meno male che stasera c’è la raccolta differenziata degli animali elettrodomestici.
Il piccolo Barack III, nipote di mia figlia, arriva di corsa nella stanza. Ha lo sguardo vispo dei marmocchi di quell’età. Frequenta l’Ipnoscuola da 4 anni. È il primo della classe. L’altro giorno ha fatto a pugni con Sant’Agostino. Non è la prima volta che si trova in mezzo ai guai per difendere i Manicheisti. È il mio nipote preferito. Si avvicina di soppiatto, mi tocca la spalla e mi fa: “Nonno alla n?”.
“Dimmi, tesoro”.
“Fuori fa freddo. Genitrice dice che una volta, con queste temperature,  sarebbe caduta la neve. Che cos’è la neve?”
Lo faccio sedere sulle mie gambe nuove. La stufa a midollo non riesce a scaldarmi abbastanza. Mi schiarisco la voce col punch, e  racconto.
“Tutti attendevano che succedesse qualcosa, in quel 2012. Si aspettava con ansia il 21 dicembre. Ma quel giorno scadde solo la mia confettura di albicocche. La fine del mondo c’era già stata il 10 febbraio. Eppure qualche segnale di eventi infausti c'era stato. Sebbene ci trovassimo in pieno inverno, sebbene ce l’avessero detto da 2 settimane, sebbene i telegiornali dell’epoca non parlavano d’altro, quel giorno nevicò. E la neve, pensa, coprì le strade. E gli alberi. E gli ombrelli di chi camminava. La tv mostrava La Grande Città appena imbiancata, dimenticandosi di intere regioni completamente isolate. Scendemmo in strada. Passeggiando per le vie, la situazione era chiara: se una città aveva 24 consiglieri comunali, c’erano 24 strade pulite. Se ne aveva 30, 30 erano i percorsi che avevano visto lo spalaneve, e così via. Algebra urbana.
Alcuni temerari privati provavano a spalare 4 metri di neve, ma ne venivano sepolti. Poi, come in un videogame, erano sostituiti da un altro cittadino, e poi un altro, e poi un altro ancora, senza neanche bisogno di insert coin. Dovemmo attendere la primavera per piangerne gli intatti corpi, avvolti in inguardabili pile e con gli iphone ancora in funzione.
Le altre persone, non sapendo cosa fare, optarono per due scelte.
Alcuni, infreddoliti, si chiusero nelle loro case e iniziarono ad aggiornare le proprie bacheche sui personal computer, fino a spellarsi le dita, scrivendo che faceva freddo, che nevicava molto, che avevano il balcone pieno di acqua ghiacciata semisolida. Lo scrivevano su facebook. Ricordi facebook? Quel social network che nel 2015 implose, portandosi dietro di sé 100 yottabyte di stronzate photoshoppate e l’oroscopo di Breszny? Proprio quello.

Altri salirono sulle loro automobili alte e rumorose, definite Sport Utility Vagon, e si incamminarono lungo le strade innevate della nostra penisola, passando al fianco dei viandanti ingobbiti, sghignazzando, con la faccia di chi ha la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta, quel giorno, dal concessionario. Erano decine di migliaia. Tutti in fila, rombanti. Qualcuno racconta di aver visto il lungo corteo perdersi nei boschi, attirato dal canto di un V6 TDI da 240 cv, per poi scomparire nel nulla in una nuvola di nafta. Non li trovarono mai più. E non mancarono a nessuno.
Poi finì tutto. E ci risvegliammo, infreddoliti.  
Che roba, la Nevicata del ’12.”

mercoledì 8 febbraio 2012

Noi credevamo


Mi sono laureato ha 26 anni. A 28 già mero fatto il X5, e me lo scarico ancora. A ragione il ministro, quelli che si laureano dopo i ven’totto anni sono sfigati.
Mio padre fa il costruttore e cià un sacco di clienti inportanti. Mi ha fatto fare la ragioneria, che conosceva il preside. Gli aveva fatto i lavori a nero nella manzarda e lui gli doveva il favore. Anche se non ci andavo, a scuola ero promosso all’anno dopo. Una volta ho infuocato il negro della terza, che voleva una ragazza bianca, e si doveva stare nel suo, che io non vado in africa a fregarmi le negre a loro, anche perché chi le vuole quelle. La scuola era per me alla strenna di un luna parc. L’ultimo anno vendevo le pleigine fuori all’ingresso. Mamma lavora alla segreteria dell’università di economia, e commercio. Mi a iscritto senza nemmeno pagare l’aretta, tanto poteva falsare le carte, che lei sta nella segreteria e lavora insieme a un anticappata. 

Gli anni dell’università sono stati i meglio della mia dolescenza. Quanto ho fumato in quei anni. Se lo venivano a comprare a casa nostra, il fumo e lo facevamo pagare lira di Dio, comunisti del cazzo. A un certo punto però, poi, pensevamo anche alle cose serie, che erano anni di studio. E chiavavamo come le bestie, che basta che le facevi fumare e sai le troie. Nei ritagli di tempo, tornei di plaistetion. Poi babbo mi ha fatto laureare con la tesi che a scritto un suo dipendente inteligente, coi figli piccoli, che gli servivano i soldi, e papà gli ha fatto fare gli straordinari e lui è uno che lavora alla clemente. E faceva anche la mia università, ma non si è laureato ancora. Che sfigato. A ragione il ministro.

giovedì 2 febbraio 2012

Di una bocca spoglia, le novità sull'ammore e i neologismi



Entra nel mio ufficio. Inizia un pezzo di Boney M. su una web radio ispanica. Si accomoda, senza aver avuto il permesso. E’ di quelli senza labbra. Potrebbe essere la miglior persona al mondo, regalarmi il momento più intenso della giornata, porgermi una mazzetta di banconote da 5 kg, propormi un biglietto per le Mauritius. Ma non ha le labbra. Gli è stato praticato un cesareo orale, e dopo anni di convalescenza avrà deciso di uscire di casa, col freddo, per recarsi nel mio ufficio. Non l’avevo mai visto prima. Mi sarei ricordato di quello spacco preciso tra il naso e il mento, al cui interno il Dio Odontoiatra ha distribuito con meticoloso caos molari e canini.
“Buongiorno, volevo dirle alcune cose. Innanzitutto, io faccio l’autista dell’assessore regionale xxyyzz. Detto questo……….” Ecco l’incipit ideale che mi serve per pensare ai fatti miei: “Faccio l’autista dell’assessore regionale”. È perfetto.
Mentre parla di qualcosa, apro la posta elettronica.
C’è un bel banner, sul lato sinistro della pagina.


Riepiloghiamo: quest’agenzia mi propone avventure per una notte, in quanto tradire, a loro dire, non è più peccato. Presumono che io sia sposato o, almeno, legato sentimentalmente. E per darmi la possibilità di vivere un’avventura piccante, mi propongono donne sposate. Perché?
Pensate che solo le donne sposate conoscano le debolezze degli uomini sposati?
Le single portano troppi problemi?
Tradire con una della propria città è più piccante rispetto ad un’amante dell’entroterra?
L’avventura di una notte è appannaggio di coppie sposate con altri?
I zitelli preferiscono avventure di, minimo, una decina di giorni?
E se fossi uno scapolo, potrei lo stesso aderire alla proposta, oppure la condizione di accoppiato è propedeutica all’adesione?
Chiedono lo stato di famiglia o controllano il segno della fede al dito?
E se vuole aderire qualche donna non sposata, come la mettiamo?
Chissà se c’è un catalogo. Sposate basse. Sposate ingorde. Sposate madide. Sposate vip.
Quasi quasi mi iscrivo e chiedo un incontro con la tipa del Nespresso, quella che dice Volluto. No, perché ci vorrei parlare, e spiegarle che si dice Velluto. E dire che George Clooney lo dovrebbe anche sapere un po' d'italiano. Volluto non c'è. Come non ci sono Frappuccino e Moccaccino. Penso fra me e me.

".... mi hanno detto che di lei ci si può fidare. Mi raccomando", conclude un discorso inascoltato l'autista con la feritoia facciavista. Stavo annuendo, presumo, da qualche minuto. Non so come sia successo, ma non era più seduto al posto iniziale. Ora era in piedi, e giocherellava con un accendino costoso tra le dita.
Alzo il pollice, fissando il soffitto in cartongesso. 
"Allora, ci posso contare?"
"Ciecamente".
L'autista dell'assessore regionale ignora che, da oggi, tradire non è più peccato.