sabato 19 gennaio 2013

Non fare agli altri ciò che non vuoi fare agli altri.




Oggi non vado dal dottore.

A dirla tutta non mi fido più. Assomiglia troppo al cantante dei Nickelback. È uno di quelli che quando parli non ti guarda negli occhi, ma all'attaccatura dei capelli. Anche se non li hai. La stanza dove non mi attende ha il linoleum in terra, un neon vibrante al soffitto con una mosca intrappolata dentro da mesi, una scrivania in cristallo scheggiato, una tenda veneziana con le listarelle anarchiche. Ma il mio dottore è sempre occupato. Come il cesso della stazione centrale.

Ha un lieve accento salentino. Ma dice di essere di Canazei. Col cognome che finisce in U. Sostiene che l'uso periodico del pene ne aumenti la stazza. Ma io non gliel'ho mai chiesto. Evidentemente ha bisogno di conferme in tal senso. È un brav'uomo, ma lo odio. Voi vi chiederete perchè abbia scelto lui. In realtà è lui che ha scelto me. Non vi capita mai di trovarvi in un luogo con la netta sensazione di sapere cosa sta per accadervi? A me non è mai successo. Capita. Capita soprattutto quando la persona che prende in mano la vostra vita sia simpatica come un barman giocoliere. Che vi spilla quattrini mentre sta riempiendo di ghiaccio sporco il vostro bicchiere. Poi una spruzzata di liquido verde, una fetta di limone ed una goccia di alcool. 20 euro. Timbro sulla mano. Un'occhiataccia dal buttafuori nazionalsocialista e a casa. Con la netta sensazione di non aver concluso nulla. Gli ho detto più volte di come spesso da un argomento passi ad un altro. Lui prende nota con la sua penna d'osso, sul blocknotes d'alcantara, controllando il suo orologio di titanio e grattando la sua testa di cazzo. Mi appoggia una mano sulla spalla e mi dice che con me dovrà lavorare molto. Per farmi sentire a mio agio la prima volta mi ha detto “dammi del lei”. Per sottolineare la parità di condizione ed ignorando che la mia laurea è più prestigiosa della sua. Almeno la cornice. Dice che non è vero che io divago tra argomenti disparati. Creo alibi. Mento a me stesso.
Quando finisce la seduta non sono io ad andare via, ma lui.
E non fa come i medici di una volta, che indossavano quei cappotti cammello o grossi impermeabili.

No. Lui no.

Questo insopportabile punto interrogativo coi capelli raccolti ficca mani e testa in una maglia Napapjiri che si usa a mò di giubbino, ma giubbino non è. È una maglia, porca troia. Ed una maglia non può essere surrogato di una giacca, per calda che vuole essere. Non bisogna ingannare il proprio corpo. Sarebbe come indossare un paio di infradito in pile, a gennaio.

Bisognerà lavorare molto, con lui.

10 commenti:

  1. Il mio si chiama Ardente di cognome... Sua moglie Lamona....

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    1. Il nome di lui non lo scrivi per la legge sulla privacy, immagino.

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  2. a me sta già simpatico, ma avrei preferito che fosse almeno un po' negro.

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  3. "non bisogna ingannare il proprio corpo".

    Ettore, sento che ti amo sempre di più.

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  4. Giusto!

    Grazie per il commento, CIAO!!!

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  5. Il mio sembra una palla da bowling con i capelli incollati sopra. Però è bravo e mi passa medicine gratis.

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