lunedì 18 maggio 2015

Di idraulica, fisioterapisti miliardari e numeri crescenti.

Il miscelatore del lavabo di casa impiega circa 3 minuti per scaldare l'acqua. Se gli alitassi sopra, sarebbe più rapido. In quei 180 secondi, potrei riempire mezza vasca d'acqua, 4 acquari, dissetare 25 piante del balcone. Essere denunciato dal governo etiope. E poi sciacquarmi il viso.
Il miscelatore del lavabo dell'ufficio impiega circa 1 secondo per scaldare l'acqua. Dopo 4 secondi l'acqua bolle. Dopo 7, nessuna mano umana è in grado di affrontare quel getto lavico.
Ultimamente incontro persone che sono il miscelatore di casa o il miscelatore dell'ufficio.
Estremi che non si incontreranno mai. Incontrano solo me, di continuo.
O bianco, o nero. O altezza o bassezza. O nanismo.
Dove sono finite le mezze misure? Scomparse con le mezze stagioni? Cancellate dai menù come le mezze porzioni?
Vorresti un "come stai?" vero, in carne ed ossa, ma ricevi solo notifiche. Notizie su altre vite. Social stocazzo. MyDicksNetwork, piuttosto. Oramai la gente notifica, tutto. Anche se non sei in rete.
Così mi trovo ad andare in giro con l'etichetta rossa in alto a destra, sulla testa, col numerino.
43 notifiche in attesa di essere lette.
Ora 44.
Alla fermata del bus nessuno si guardava in faccia, l'alto giorno. Sarei potuto passare nudo, con sabot e parrucca di Tina Turner. Niente.
45.
Ci piegheremo, nei nostri telefoni, fino a sentire lo scrocchio del collo. Ed allora, con l'ultimo, flebile, respiro, ci avvicineremo al primo passante e sussurreremo "Sai se c'è un'app per far tornare la testa dritta?"

sabato 9 maggio 2015

Confessioni di un demente pericoloso (o come sopravvivere 60 giorni senza facebook)

Non sono più su facebook da 60 giorni.
L'evento non è stato salutato dai carrarmati della Piazza Rossa in parata, nè da uno speciale su RaiStoria condotto da quel giuggiolone di Paolo Mieli.
Pensavo che l'opinione pubblica desse più risalto alla notizia, visto che avevo un seguito corposo, alle volte quasi maniacale, di followers.
Invece sono andato via e facebook ha proseguito il suo lavoro quotidiano. Ognuno parrebbe continuare a sopravvivere, noncurante del fatto che io non ci sia più.
Non me l'aspettavo.
Ieri sera, molto tardi, diciamo stamattina, riflettendo sulle conseguenze etiche della masturbazione, e grazie all'apporto di mezza bottiglia di ratafìa, mi sono riaffacciato sulle pagine biancoblu del social network.
Video del cazzo (cioè, non proprio del cazzo, ma fossero state clip di un pene che parlava di Sci-Fi sarebbe stato meglio), musica di merda (in questo caso proprio così. Anzi, dimmerda), poesie brutte, foto di gente che vedrei volentieri a leccare i corrimano della metro di Calcutta.
E non sto qui a controllare se Calcutta ce l'abbia o meno una metro. Diciamo che se ce l'avesse, la immagino come la metro più sporca del mondo. Stereotipi e luoghi comuni, ok.
Ebbene, quando, esattamente, ho deciso di accettare l'amicizia di persone che disprezzo?
O meglio, perchè?
Era così indispensabile farlo?
Fare a gara a chi ce l'ha più lungo, a costo di condividere storie drammi ed estasi con gente alla quale farei fatica a stringere la mano, è diventato un obbligo. Un'esigenza.

"Ma guarda che coi blog è lo stesso. Non cerchi anche qui approvazione da sconosciuti, costretti a leggere i tuoi scazzi e le tue paturnie?"

Sì, lettore misterioso e scassacazzi. E' così anche sul blog.
Ma è un ambito più intimo. Non scorro una paginata di roba avariata, mix di madonnedimedjugorie, bukowsky, creme brulèe e dildi.
Scelgo di andare dove voglio. E mi ci fermo.

Sono uscito da facebook da 60 giorni, e non gliene frega un cazzo a nessuno.
Sono soddisfatto.